“I Custodi della Magia”: di cosa parla

Ho finalmente visto I Custodi della Magia o “Keepers of the magic”.
È un documentario del 2018 diretto e fotografato da Vic Sarin e parla di diversi direttori della fotografia che hanno scritto la storia del cinema, tra i quali: Vittorio Storaro, Gordon Willis, Roger Deakins, John Seale, Bruno Delbonnel, Philippe Rousselot, Cesar Charlone, Santosh Sivan, Peter Pau, Mandy Walker, Donald Mcalpine, Haskell Wexler, George Miller, Sam Mendes, John Boorman.
Per gli addetti ai lavori sono nomi famosi, per chi invece non ha dimestichezza col settore, ricordo solo alcune loro opere per farvi capire la loro importanza: Apocalypse Now, L’Ultimo Imperatore, City of God, Il Padrino, Skyfall, Il favoloso mondo di Amelie.  Sono solitamente sconosciuti al grande pubblico, anche se ci sono proprio loro dietro la magia di quei fotogrammi che ci restituiscono emozioni, ci raccontano storie e ci fanno talvolta sognare.

Direttore della fotografia: un lavoro poco riconosciuto

In passato, ma qualche volta ancora oggi, difficilmente hanno avuto il giusto riconoscimento sociale per questo lavoro, con la conseguenza di dover fare enormi sacrifici e tenere duro per poter continuare a svolgere il mestiere che hanno scelto. Per comprendere come era visto questo lavoro, vi racconto un aneddoto calzante.
Quando Bruno Delbonnel comunicò al padre il desiderio di diventare direttore della fotografia, il padre non gli parlò per due anni. Eppure il cinema è un linguaggio di immagini e dietro ci sono proprio loro, i direttori della fotografia, o autori come preferisco chiamarli, coloro che danno luce alle storie.

I Custodi della Magia: la visione del colore e della luce

Nel documentario I Custodi della Magia, ogni autore racconta frammenti della sua vita e di alcuni suoi lavori. Storaro, ad esempio, spiega quanto è importante nella storia il gioco di equilibrio tra le luci e le ombre, tra i colori ed i loro opposti. Ad un certo punto della sua carriera, proprio sui colori, ha sentito il bisogno di comprenderne meglio il loro significato.  Ne “L’Ultimo Imperatore”, film che gli regala il terzo Oscar per la Fotografia, proprio con la vita del personaggio principale Pu Yi sperimenta questa idea e scandisce con i colori le diverse fasi della sua vita e del film. Si parte dal nero che rappresenta l’inizio, quello che c’è prima della nascita; poi arriva il rosso, il primo colore della vita e quello ad esser riflesso; l’arancio, il colore della fanciullezza, il feeling, il bisogno della famiglia; il giallo, colore del momento della trasformazione nella nostra vita, il passaggio alla pubertà, la conoscenza di chi siamo; il verde, colore della conoscenza (per chi ha visto il film, non è affatto un caso che il maestro arrivi in un auto di colore verde); il blu, colore della libertà; ed infine l’indaco, che rappresenta il potere.
Se non hai ancora visto il film, o se è passato del tempo dall’ultima volta, sono certo che con questa nuova consapevolezza riuscirai a contestualizzare meglio i vari momenti e la presenza di questi colori.
La scoperta di questo universo sui colori gli ha permesso di allargare il suo vocabolario.

Altro capolavoro che consiglio di vedere a chi ancora non lo ha fatto, è il film City of God,  nel quale Charlone parla di alcune particolarità sul colore, spiegando come lo ha usato per dividere il film in 3 diversi periodi. Nel primo, il periodo dell’ingenuità, usa il rossastro. Nel secondo, in cui vuole sottolineare  un momento di transizione durante il quale si fa anche uso di sostanze stupefacenti, utilizza anche colori fluorescenti. Nel terzo ed ultimo, la parte più pesante, usa il bianco e il nero con un leggero tocco di blu.

Ognuno ha una sua visione del colore. Rodger Deakins, non ben comprende la filosofia di Storaro dietro il colore, ma per lui è semplicemente importante che quelle immagini funzionino.
Restando sui colori e le atmosfere, molti direttori della fotografia amano girare le loro scene nel tardo pomeriggio o alle prime luci del mattino.
Perché?
In quel momento ci sono luci calde e contrasti incredibili in grado di suscitare più facilmente emozioni.

E la luce naturale rispetto alla luce artificiale?
Il suo utilizzo, come qualsiasi altra luce, dipende dalla storia e da quello che bisogna comunicare, ma tutti amano la luce naturale che riesce a rievocare con facilità emozioni e ricordi.
Altra cosa sulla quale concordano la maggior parte dei direttori della fotografia che intervengono nel documentario è l’importanza della propria visione, del proprio “occhio”, che rappresenta una sorta di firma in calce a “cosa” si sta riprendendo e “come”.
“C’è abbastanza energia nell’inquadratura?”
È una delle domande che consigliano di porti sempre.

I Custodi della Magia: rapporto tra immaginazione e realtà

C’è un’altra caratteristica comune che emerge nei racconti contenuti nel documentario, che, pensandoci bene, accade un po’ anche nel settore della fotografia non cinematografica.  Sarà sicuramente capitato a chi si occupa di fotografia.
L’esistenza di due linee parallele che per far sì che si incontrino, è necessario costruire ponti.
Di quali linee parallele parliamo?
La prima linea è rappresentata dal mondo immaginario che si crea dopo aver letto lo script. La seconda, è la realtà, sempre diversa da ciò che hai immaginato in precedenza.
Quante volte, come fotografo, arrivi sul set, qualsiasi esso sia, con un immaginario e il risultato è puntualmente diverso?
Bene, accade anche a loro. Questo a volte può generare insoddisfazione o confusione.
A mio avviso, bisogna semplicemente accettare che il risultato finale è il frutto di troppe variabili, sulle quali non puoi pretendere di avere il controllo totale.

A proposito di immaginario, non posso nascondere che prima di vedere questo film mi aspettavo chissà quale segreto svelato o tecnica spiegata. La realtà è stata diversa anche in questa occasione perché, a mio avviso, erano troppi gli autori e poco il tempo. Quel ponte, verso la fine, sono riuscito però a crearlo lo stesso. Alla domanda “qual è la formula vincente?”, avevo già capito la risposta che Gordon Willis stava per dare.  Semplice: “la formula sei tu”.

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Guglielmo Antuono

Crediti immagine:
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